Ai ragazzi di oggi non serve una particolare presentazione, mentre qualche anno fa era necessario precisare che lo sportello d’ascolto non è indirizzato ai matti o agli strani. E il fatto che sia percepito nella normalità significa che è qualcosa di cui c’è bisogno.
Sappiamo che gli sportelli di ascolto nelle scuole lavorano in ottica preventiva: si tratta di un servizio di soglia, serve ad accogliere ed osservare la difficoltà presentata dai ragazzi per indirizzarli ai servizi dedicati.
Tuttavia, se un tempo lo spazio degli sportelli era più a carattere individuale (“incontriamo il ragazzo, lo aiutiamo a chiarire qual è la sua difficoltà, gli diamo criteri per capire come muoversi, lo aiutiamo a valorizzare le sue qualità personali per gestire la situazione” spiega la d.ssa Elisa Petteni), negli anni, con particolare accelerazione in periodo pandemico, al lavoro con i ragazzi si sono affiancati gli obiettivi del professionista: essere un punto di raccordo con i servizi territoriali e con gli adulti di riferimento più prossimi.
Le tematiche che troviamo negli sportelli d’ascolto non sono cambiate, perché non sono cambiati gli adolescenti, come tappe di vita e compiti che devono affrontare e superare (gestione dell’ansia e dello stress, definizione di sé, gestione delle relazioni interpersonali, difficoltà legate all’ambito familiare, all’ambito scolastico – dal ri-orientamento al metodo di studio alla ri-motivazione).
Quella che è cambiata è l’intensità con cui queste tematiche arrivano.
Negli ultimi anni è cambiata la visione di sé, la visione del futuro che è più incerto; è diventata più difficile la relazione sociale ma è problematico anche leggere e capire il proprio corpo, ci sono segnali che vengono interpretati come pericoli ma che sono solo fisiologici.
È il contesto sociale che ha portato ingravescenza del fenomeno: oggi è meno straordinario vedere disturbi alimentari alle medie, parlare di ansia, disturbi dell’umore e attacchi di panico, di ritro sociale, di ritiro scolastico in maniera importante.
Come dice Matteo Lancini (psicologo e psicoterapeuta, docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca): noi incontriamo principalmente ragazzi che portano sulla loro pelle le difficoltà, e li incontriamo come se le difficoltà fossero esclusivamente individuali; ma li circonda il mondo degli adulti, e su di loro è necessario lavorare.
Lancini dice provocatoriamente “lasciate che gli adolescenti si salvino dagli adulti” perché questi sono buoni ma più fragili (in effetti, al Consultorio Familiare riceviamo richieste di consulenza da parte di adulti che si chiedono come fare i genitori e le figure di riferimento).
Per questo, chi lavora agli sportelli ha sempre più bisogno di creare una rete forte: sia con quei servizi che permettono di prendere in carico queste situazioni, sia con gli insegnanti (con cui c’è bisogno di confronto per accompagnare i ragazzi) e naturalmente con le famiglie.
L’incontro allo Sportello con il professionista psicologo, figura adulta esterna di riferimento, non è più sufficiente per i ragazzi.
Serve creare rete e comunità, è un lavoro più sistemico che pone domande pressanti: quali adulti possiamo diventare? Quale ruolo possiamo giocare con i ragazzi?