Domanda:
Buongiorno, sono la mamma di Giacomo, 16 anni. Da qualche tempo con lui i rapporti sono un po’ tesi: è sempre più polemico rispetto alle decisioni sulla gestione di alcuni aspetti della sua vita, risponde spesso sgarbatamente a me e al padre, oltre che al fratello, è intollerante a critiche ed ancor più a divieti.
Abbiamo pensato fosse per la crescita e che volesse fare come fosse già adulto, ma un paio di sere fa ha proprio esagerato. Voleva che lo accompagnassimo ad un locale all’aperto dove avevano organizzato un aperitivo con gli amici. Io e mio marito non eravamo d’accordo sul fatto che andasse perché ci sarebbero state tante persone e ci sembra ancora una situazione troppo rischiosa. Abbiamo iniziato a discuterne, si è passati ad alzare la voce, più gli dicevamo di smetterla di urlare e più alzava la voce, è scappata pure qualche parolaccia, quando mio marito gli ha detto che non l’avrebbe accompagnato si è alzato di scatto dalla seggiola che è caduta e urtando il mobile che aveva dietro si è rotto il vetro dello sportello.
Anche il fratello è intervenuto dicendo che lui è stufo, che Giacomo gli rompe le scatole con il casino che fa sempre, peggiorando così la situazione. Tutti urlavamo nel caos. Mio marito non ci ha più visto ed ha urlato a Giacomo che gli toglie la paghetta della settimana! Poi ha aggiunto che non ne vuole più parlare finché Giacomo non “imparerà a stare al mondo”! A me sembra eccessivo ma sono anche io stufa e incavolata e penso: con tutto quello che facciamo per lui, questa è la risposta!
... e risposta
Come sottolinea la mamma di Giacomo, succede spesso che ragazzi/e in adolescenza si facciano più “polemici” e pretendano di dire la loro con maggiore determinazione o testardaggine rispetto all’infanzia. Fa parte del processo di crescita imparare gradualmente a prendere decisioni anche riguardanti la propria vita.
L’adolescenza, infatti, è un momento in cui si acquisiscono nuove capacità di pensiero che fanno sentire ragazzi/e di poter e voler discutere “alla pari” con gli adulti. Il bisogno di ragazzi/e di far sentire la loro voce circa le decisioni che li riguardano è sano e fisiologico nel processo di crescita. Anzi, il fatto che non si presenti l’uso costruttivo dell’assertività per affermare sé e le proprie idee può essere preoccupante.
Tuttavia, questo non ci deve portare a giustificare tutto dicendo “è solo l’adolescenza”: anche in adolescenza – così come in infanzia – è importante comprendere il significato delle reazioni emotive dei figli e poterli aiutare ad acquisire la capacità di modularle.
Analizziamo l’emozione espressa da Giacomo nell’episodio raccontato dalla madre, che si è poi diffusa nell’intera famiglia: la rabbia.
Nei momenti di stress e fatica, come quello che stiamo attraversando, sia per l’emergenza sanitaria sia per la fase 2, tutti accumulano nervosismo ed irritazione: ci siamo appena lasciati alle spalle settimane di reclusione a casa senza sfoghi fisici e relazionali, lo spazio vitale e privato di ognuno in casa è ridotto a causa della riorganizzazione dei tempi di lavoro e della scuola. Ad accrescere ancor di più questa frustrazione, per gli adolescenti, ci si aggiunge il fatto che per loro il bisogno di privacy e di spazi privati e di momenti di socializzazione è più forte e legato a bisogni evolutivi.
Tuttavia, comprendere non significa giustificare, bensì dare significato e contestualizzare le reazioni emotive,per aiutarci ad individuare modalità più funzionali a gestire queste emozioni.
Cosa possiamo comprendere dall’emozione della rabbia?
La rabbia è un’emozione di base ed universale, comune a tutte le persone, indipendentemente da età e cultura di appartenenza. La sua funzione risiede nell’istinto di difendersi per sopravvivere nell’ambiente in cui ci si trova.
Alcuni studiosi (come, ad esempio, Giovanni Liotti), che hanno approfondito la ricerca su questi meccanismi di difesa automatici, parlano di 5 tipologie di comportamenti (le “5 F”), che possono scattare di fronte ad una minaccia: Freezing (congelamento per orientarsi), Fight (attacco) o Flight (fuga), Fright e Feigned death (due immobilizzazioni che simulano lo stato di morte). Questi comportamenti sono spesso visibili negli animali, ma si riscontrano anche negli esseri umani, seppure in forme meno visibili. L’attacco o la rabbia compaiono, quindi, come sistema di difesa automatico.
La mamma di Giacomo potrebbe chiedersi: da cosa si stava difendendo mio figlio? La rabbia non si presenta solo per proteggersi fisicamente, ma anche per difendersi dai pericoli emotivi, come ad esempio: subire un torto, vivere un’ingiustizia, sentirsi svalutato, percepire violati i propri diritti; a volte la rabbia è anche reattiva al senso di impotenza, alla confusione, al sentirsi spaesati.
Questa emozione e l’impulso ad attaccare possono essere un’inconsapevole ed automatica reazione di difesa della mente. Inoltre, gli adolescenti sono ancora più esposti degli adulti a percepire i pericoli emotivi, poiché il loro ruolo nelle decisioni della famiglia non è ancora consolidato, il senso del valore di sé non è ancora stabile e ogni occasione in cui si sentono svalutati è una minaccia alla loro autostima.
Tutto ciò permette di comprendere le manifestazioni di rabbia in famiglia, che spesso possono arrivare – come nel caso di Giacomo – ad urla e parolacce, come un segnale di malessere del figlio e non semplicemente una mancanza di rispetto verso i genitori (Quale genitore non l’ha mai pensato? Quanto ha fatto male o dato fastidio questo pensiero?).
La collera ha, invece, una sua funzione, che può essere adattiva quando si impara a riconoscerla, nominarla e modularla. Come nel film Inside Out, anche le emozioni con tonalità negativa, come la rabbia, la tristezza e il disgusto, hanno una funzione adattiva, quando gestite in modo funzionale. Nel film, la preadolescente Riley, in preda a forte rabbia e tristezza per i recenti cambiamenti che stanno avvenendo nella sua vita, non solo litiga con i genitori, ma scappa persino di casa. Le peripezie dei personaggi per riuscire a riportare il personaggio Gioia nella mente della ragazza sono lunghe e anche il personaggio Rabbia dà il suo contributo, grazie alla forza con cui riesce a far rientrare le altre emozioni nella mente della protagonista.
Anche le emozioni con tonalità negativa fanno parte del vissuto di ogni persona e non possono essere evitate o eliminate; a volte si è in grado di comprenderle e gestirle, altre si fa più fatica. Non c’è una strategia adatta ad ogni situazione o una bacchetta magica che possa farle sparire come d’incanto.
Imparare ad accettare le emozioni meno piacevoli, riuscire a riconoscerle e comprendere il senso che hanno per noi in quel momento è il primo passo per imparare a convivere nel delicato cammino che è la vita. Saperlo fare come genitori, inoltre, significa saperlo mostrare anche ai propri figli, aiutandoli a “leggersi” e a vivere le situazioni con maggior consapevolezza.
Ancora una volta, vogliamo sottolineare l’importanza del ruolo degli adulti per sostenere la capacità degli adolescenti di gestire anche questa emozione. La capacità di gestire emozioni e relazioni, infatti, ha le basi in un processo di apprendimento sociale in cui mamma e papà hanno un ruolo molto importante, ancor di più nei momenti di stress. È fondamentale che comprendano e restituiscano un senso alle reazioni di rabbia dei figli, che, talvolta, i giovani stessi non comprendono.
Infatti, la loro mente e il loro cervello, come ci spiega Daniel Siegel, sono in fase di “rimodellamento”: c’è un processo di integrazione in atto e alcune funzioni (come la capacità di comprendere le reazioni di rabbia e modularla) non sono ancora ben consolidate. Per questo, in alcune situazioni, può essere necessario che un adulto, delicatamente e senza svalutare, intervenga per aiutare a svolgere tale ruolo di nomina, attribuzione di significato, modulazione della rabbia.
Veniamo ora alla lettera della mamma di Giacomo: sicuramente il fatto che si sia data il tempo di lasciare che l’emozione diminuisse in intensità è stata una strategia utile! Tutti sappiamo che quando siamo in preda alle emozioni è molto più facile reagire d’istinto, in maniera poco consapevole, spesso arrivando a dire o a fare cose che, a mente lucida, si riconoscerebbero come poco utili o inadeguate rispetto alla situazione.
L’esempio della mamma di Giacomo, se utilizzato nel confronto, può essere molto utile perché anche lui acquisisca questa modalità: saper aspettare che sia un buon momento, che si ripristino le condizioni emotive adeguate a parlare con lucidità. La mamma di Giacomo, ad esempio, potrebbe avvicinarsi a lui spiegandogli che quella sera il clima di rabbia non ha permesso un dialogo costruttivo e che questo l’ha spinta ad aspettare nel parlargli.
Un altro suggerimento può essere quello di attivare con lui un dialogo, magari partendo dalle sue ipotesi, dall’idea che lei e il marito si sono fatti in merito a quella reazione e chiedendo a Giacomo se ci si ritrova oppure se lui ha pensato e sentito altro.
Le raccomandiamo, però, di non insistere ripetutamente nel chiedere spiegazioni e motivazioni se Giacomo non ne avesse: la fase della vita in cui si trova Giacomo lo può portare a non capirsi immediatamente e a non avere sempre le spiegazioni per i propri stati d’animo e comportamenti. Meglio allora proporgli un’immagine di sé dall’esterno, per come è stata percepita dai genitori, così che possa partire da quella per identificarsi o, perché no, per collocarsi in un’altra posizione.
Se si ritenesse opportuno dare delle punizioni, queste vanno calibrate sulla loro sostenibilità, sia per i genitori (a quanti è capitato di togliere il cellulare per poi doverlo restituire perché serviva per scuola?) sia per i figli (quanto è possibile che un ragazzo possa stare mesi senza soldi?). Inoltre, è importante che ci sia un legame tra comportamento valutato scorretto e conseguenza decisa, per non correre il rischio di sentirsi chiedere: ma cosa c’entra? A cosa serve? Che senso ha?
Infine, per sollecitare Giacomo ad essere protagonista della propria vita (responsabilità incluse), una volta condivisa la negatività della situazione vissuta, la mamma potrebbe chiedere a lui un modo per “riparare” la relazione e/o il mobile della cucina. Chissà cosa risponderebbe Giacomo se gli venisse chiesto: tu cosa ti senti di proporre per riparare a quanto accaduto?
La madre farebbe così indirettamente sentire a Giacomo che le rotture, gli “strappi” capitano nella vita e che non è l’assenza di questi momenti a rendere una persona “grande” o “felice”, quanto la capacità di saperli gestire, di saper tornare sui propri passi e “ricucire”.
E voi? Come gestite i momenti di rabbia in famiglia? Continuate a scriverci a oasi@ilcalabrone.org
A cura di La Fenice e Consultorio Familiare
Per chi ha voglia di leggere
E. Pelanda, Non lo riconosco più. Genitori e figli: per affrontare insieme i problemi dell’adolescenza, FrancoAngeli