Domanda
Buongiorno,
Sono la mamma di Alessia, che tra poco compirà 16 anni. Alessia è sempre stata una ragazza socievole e aperta agli altri, fino a due anni fa avrei detto che era proprio un “animale sociale”, sempre a chiedermi di incontrare il suo gruppo di amiche, di andare a casa di questa o quella compagna di classe… anche dopo le gare di karate (sport praticato dall’età di 8 anni e di cui era appassionatissima) riusciva a venire da me con un’avversaria conosciuta nel torneo, chiedendomi di poter andare a casa sua!
Questo fino a due anni fa, appunto… adesso la situazione è molto diversa e mi lascia perplessa: Alessia esce molto meno, neanche mi chiede nel weekend! Continua a tenere i contatti con le amiche, è vero, ma se prima lo faceva ritrovandosi con loro a casa o al parco, ora lo fa stando nella sua stanza, facendo interminabili chiamate online o scambiandosi messaggi via WhatsApp o Instagram. Sarà un momento di passaggio, ho pensato… ma quando mi ha chiesto di interrompere gli allenamenti di karate (dopo poco tempo dalla ripresa a seguito dell’interruzione dovuta al covid) sono rimasta davvero sorpresa: come può una passione così forte fino a 2 anni fa, dissolversi in maniera così netta?
Ho provato a proporle altri sport o altre attività, a spronarla ad uscire il sabato sera o di invitare le amiche, le ho persino detto che le avrei lasciato la casa libera per una piccola festa… e invece niente, Alessia sembra non provare più così tanto interesse nel fare ciò che faceva prima o nel trovarsi con gli altri, anzi, mi dice che è normale come si comporta lei, sono io che sono all’antica … Quando ne parliamo è serena, dice che mi preoccupo per qualcosa che non esiste, che è la normalità di tutti i ragazzi… ma io faccio fatica a capirla, la vedo sempre più chiusa dentro a quelle app, in casa, davanti ad uno schermo… Mi chiedo se sia normale e io stia esagerando oppure se debba preoccuparmi e fare qualcosa ma non so proprio da dove iniziare.
Una mamma all’antica (?)
… e risposta
Come osservato dalla mamma di Alessia, le modifiche degli ultimi due anni dovute all’emergenza Covid-19 hanno portato ad una riorganizzazione generale della quotidianità, del lavoro, delle relazioni sociali, sia per i ragazzi che per gli adulti, che ha assunto caratteristiche nuove e impensate.
Le opportunità aggregative in questi due anni hanno assunto il significato di qualcosa da evitare: il messaggio (più o meno esplicito) che arrivava ai ragazzi era quello di non uscire e di stare a casa poiché il loro “assembramento” era pericoloso, tanto da vietare anche la frequenza scolastica. Se osserviamo a partire da questo punto di vista e consideriamo che indicazioni di questo tipo sono giunte per un periodo prolungato di tempo, possiamo comprendere come i giovani siano stati costretti a rivedere il loro modo di incontrarsi, ad abituarsi ad una nuova forma di socialità.
In questo panorama la tecnologia ha svolto in maniera davvero efficace il suo ruolo di “ponte”, tanto che oggi ha preso un grande spazio nella vita di ciascuno diventando qualcosa di scontato: non è raro infatti vedere per strada qualcuno che, camminando, effettua una videochiamata; o partecipare ad un meeting online con colleghi che si trovano a manciate di chilometri di distanza o, durante le feste, videochiamare per un saluto i nonni o i parenti impossibilitati a venire.
Ma come influiscono tutte queste “nuove abitudini” in una ragazza dell’età di Alessia?
Per raccontare quali trasformazioni avvengano durante l’adolescenza sono state scritti innumerevoli articoli, saggi e libri e tale vastità di contenuti e pubblicazioni riflette la ricchezza e la complessità di questo periodo in cui la persona si trova ad affrontare numerosi cambiamenti nel corpo e nella mente, ad acquisire nuovi ruoli e responsabilità all’interno del contesto sociale e, in maniera più ampia, a strutturare una propria identità unica. All’interno di un contesto così complesso, che travolge come una tempesta in mezzo al mare, non stupisce che i ragazzi cerchino sicurezze, protezione, punti di appoggio in cui fermarsi in attesa che il vento si calmi e le acque tornino tranquille… Se pensiamo a questo, aggiungendo l’imprevedibilità di ciò che abbiamo vissuto durante gli ultimi due anni, si osserva come gli adolescenti si siano trovati all’interno di un’ulteriore tempesta, di fatto sperimentando una tempesta (interiore) nella tempesta (esteriore).
Tutti abbiamo avuto l’obbligo e la necessità di fermarci in “porti sicuri”, di mettere in stand-by alcune abitudini, di riorganizzare il nostro modo di pensare e di agire. E quando la tempesta si calma, quando il mare smette di essere cosi gonfio e il vento rallenta, è normale aver paura, temere che sia solo una falsa tranquillità, che qualcosa potrebbe ancora gonfiare il vento… Se poi in gioco c’è l’immagine di sé, ancora solo abbozzata e, per forza di cose, poco sperimentata in contesti di vita reale e relazionale, il rischio di fallire, di deludere, di non aver costruito un’identità all’altezza delle proprie e altrui aspettative diventa molto più alto.
È in quest’ottica che anche noi, dai nostri punti di osservazione “privilegiata” come gli sportelli d’ascolto nelle scuole del territorio o nel nostro centro specialistico per l’adolescente e la famiglia La Fenice, osserviamo i ragazzi: navi che vorrebbero solcare i mari ma non si fidano ad uscire dal porto. L’abitudine al non fare, a non esporsi, a non vivere quelle esperienze di messa in gioco individuale, fa sì che i ragazzi non siano più cosi reattivi nel rispondere alle sfide, anzi! Dopo anni in cui la normalità è stata l’emergenza, in cui i contesti di tutti i giorni, come la scuola, hanno limiti e confini – si pensi non solo alla DAD, ma anche a come tutt’ora i ragazzi vivono gli spazi della scuola – in cui la socialità è stata ridotta e spesso mediata… come possiamo aspettarci che i ragazzi siano sulla griglia di partenza, pronti per correre appena si dà loro il via? Come possiamo pretendere che la loro voglia di giocare le sfide della vita sia ancora così alta, dopo aver chiesto loro di “mettersi in panchina”, con l’effetto di abbassare anche l’asticella delle richieste che venivano loro fatte?
Strategie e consigli:
Citando Fernando Pessoa “dobbiamo fare dell’interruzione un nuovo cammino”. Partiamo dal presupposto che il miglior modo per insegnare qualcosa a qualcuno è attraverso l’esperienza… Ma come fare ad accompagnare in un momento in cui i nostri figli cercano autonomia?
In tal senso ci vengono a sostegno psicologi come Albert Bandura e le teorie sull’apprendimento sociale in cui si osserva come l’essere umano impari non solo in maniera diretta ma anche osservando qualcuno che compie un’esperienza. Facendo tesoro di questi studi possiamo dire che essere genitori implica innanzitutto essere d’esempio. I ragazzi guardano i genitori, li osservano, stanno attenti a come si muovono con loro e con gli altri: ce ne accorgiamo durante una litigata, quando nostro figlio/a lancia la tipica frase dicendoci: “E tu come ti comporti? Perché mi chiedi qualcosa che tu non la fai?”.
L’esempio dell’adulto è essenziale per costruire una prima mappa del mondo, una mappa che guardi con fiducia verso il futuro, che sproni a trovare il positivo che la vita ci riserva.
Insieme a questo, per aiutarli ad orientarsi nel mare della vita, occorre che gli adulti siano riferimento anche per quelli che sono i valori, espressi attraverso norme chiare e coerenti (nella vita scolastica, negli impegni pomeridiani, nella gestione delle relazioni…) che li aiutino a porsi dei limiti tutelanti e, al contempo, sfruttare le nuove opportunità incoraggiando le esperienze.
Il senso di responsabilità, come ha ricordato più volte lo psicoterapeuta Matteo Lancini, si costruisce attraverso il coinvolgimento, l’interazione, il farli sentire parte di una realtà più grande, sia essa quella familiare o la collettività più ampia. Per costruirlo è necessario dare loro la fiducia, attraverso compiti responsabilizzanti “su misura” che, a partire dalle loro capacità, permettano di sentirsi in grado di tornare gradualmente a sperimentarsi, gestire le situazioni e confrontarsi con il nuovo e i timori che esso porta, con quell’autonomia che i ragazzi chiedono.
E oltre all’esempio… il dialogo.
Spetta ai genitori aiutarli a trovare un nuovo equilibrio, offrire comprensione per i loro bisogni, creare un clima di confronto empatico che li faccia sentire capiti e sostenuti nelle difficoltà che sentono.
Come adulti nella relazione educativa è importante tenere a mente che la responsabilità del clima relazionale è nostra: se vogliamo poter portare loro la nostra visione è indispensabile essere disposti ad accogliere le loro domande, le loro fatiche, i loro punti di vista.
Il messaggio da trasmettere ai ragazzi è quello dell’accettazione della difficoltà e dell’imprevisto, dell’errore come fonte di conoscenza di sé e di miglioramento progressivo, del “tutto passa” inteso come continuo modificarsi delle situazioni affinché l’errore non sia limite invalicabile, giudizio schiacciante, battuta d’arresto, bensì bivio, alternativa, nuova opportunità.
Di tutto restano tre cose:
la certezza che stiamo sempre iniziando,
la certezza che abbiamo bisogno di continuare,
la certezza che saremo interrotti prima di finire.
Pertanto, dobbiamo fare:
dell’interruzione, un nuovo cammino,
della caduta un passo di danza,
della paura una scala,
del sogno un ponte,
del bisogno un incontroFernando Pessoa
Per approfondire:
Matteo Lancini – “L’età tradita. Oltre i luoghi comuni sugli adolescenti” Raffaello Cortina editore
M. Lancini, Abbiamo bisogno di genitori autorevoli. Aiutare gli adolescenti a diventare adulti, Mondadori
G. Pietropolli Charmet, L. Cirillo, AdoleScienza. Manuale per genitori e figli sull’orlo di una crisi di nervi, San Paolo Edizioni
A. Pellai, B. Tamborini, L’età dello tsunami. Come sopravvivere a un figlio pre-adolescente, DeAgostini
A. Pellai, B. Tamborini, Vietato ai minori di 14 anni: Sai davvero quando è il momento giusto per dare lo smartphone ai tuoi figli?, DeAgostini
S. Andreoli, Mamma ho l’ansia. Crescere ragazzi sereni in un mondo sempre più stressato, Rizzoli