Al Calabrone ne succedono, di cose straordinarie: capita anche che si incrocino le vicende di Redento Peroni e di Habibou, l’uno ferito nella strage di Piazza Loggia il 28 maggio del 1974 e l’altro che abita a Casa Baobab, arrivato a Lampedusa dal Mali dopo 8 mesi di permanenza in Libia e un viaggio sul barcone.
Li accomuna la volontà di “darsi da fare” per gli altri, nonostante le pesanti vicende che entrambi hanno vissuto: con loro, un pezzo della storia di Brescia incontra il proprio futuro – e il Calabrone, in questo intreccio di storie, vede prefigurarsi la città che vorrebbe. E poi, Redento e Habibou stanno per diventare parenti: nonno e nipote, perché Habibou viene adottato da una figlia di Redento.
Il Calabrone, Redento l’ha visto nascere: ha partecipato materialmente alla costruzione della sede al Prealpino ed è un volontario della primissima ora. Ha vissuto la stagione operaia della città, è stato sindacalista, ferito dallo scoppio della bomba, testimone nei relativi processi e, oggi, voce che racconta nelle scuole il terrorismo buio degli anni ’70 e la reazione democratica della società.
Le persone che erano in piazza il 28 maggio 1974 si battevano per la collettività, non per i propri singoli interessi; erano insegnanti, operai, sindacalisti, cittadini attivi.
Le parole “cittadinanza attiva” per Redento non sono solo uno slogan: quando Alessandro Augelli gliene chiede il significato si accalora:
“Raccomando ai ragazzi di essere critici, di essere curiosi. Non accontentatevi di sentire una sola opinione. Esprimete i vostri dubbi, ascoltate le risposte, discutete con chi non è d’accordo. Le vostre idee, esponetele in pubblico e non soltanto nella vostra cerchia, fatele circolare, sostenetele: a questo serve l’agorà, la piazza”.
Proprio per questo Redento era in piazza Loggia, alla manifestazione sindacale di quel 28 maggio che ha segnato la vita sua e di Brescia – perché la strage è ancora un evento vivo nella memoria della città, che si ferma ogni anno per ricordarla e per ritrovare l’atmosfera solidale dei giorni che la seguirono.
Solidarietà e condivisione sono parole che ricorrono spesso, nella conversazione tra Redento, Alessandro e Habibou – davanti a un caffè che Habi non tocca perché è periodo di Ramadan.
Anche Habibou, che a Brescia si sente accolto “normalmente, non discriminato né insultato” come gli è successo in altre città, è convinto che il futuro della città e dei suoi abitanti deve fondarsi sulla solidarietà e sul senso di fiducia reciproco.
Il suo lavoro di mediatore culturale ne è una declinazione, così come la disponibilità al servizio richiesta dal Calabrone agli abitanti di Casa Baobab.
“Aiutare per me è un atto naturale, e penso prima di tutto agli altri, mio padre mi ha insegnato che ciò che fai ti ritorna sempre, e non lo intendeva certamente in senso strumentale”.
Redento concorda, e traduce in dialetto bresciano “chel che va fora de la porta ve denter de la finestra”.
Quanto ai giovani bresciani, Habi ha la sensazione che aspettino di avere sicurezze materiali prima di progettare un futuro, magari a due: fatica a dare un nome a questa sensazione, non può credere che si tratti di poco ottimismo, poca speranza o, peggio, poca fiducia reciproca.
La sua riflessione è stimolante. Nonno e nipote, insieme ad Alessandro, si appassionano all’argomento, che inevitabilmente sfocia nel giudizio sulla politica del tempo presente.
Qui le opinioni divergono, perché Habi dice di non credere nei politici mentre Redento cerca di persuaderlo che anche partecipare, come fanno loro, è politica: “lo convincerò, prima o poi” ci sussurra mentre ci salutiamo.