Presentiamo un contributo di sintesi del secondo incontro “Economie dell’esclusione ed economie dell’inclusione” tenuto da Marco Vitale, economista d’impresa bresciano.
L’intervento si è sviluppato a partire dai “quattro no” pronunciati da papa Francesco: No all’economia dell’esclusione, No alla nuova idolatria del denaro, No a un denaro che governa invece di servire, NO all’iniquità che genera violenza.
Questi NO, sostiene Vitale, sono lo spartiacque che deve indurci a scegliere quale economia sostenere: cambiando i NO in SI ci troviamo di fronte al pensiero dominante.
Vitale sostiene che le economie dell’esclusione portano alla rovina delle società, al crollo degli imperi e alla marginalità dei popoli – e porta esempi significativi:
- I romani, che nei primi tempi dell’impero seguivano il principio di inclusione e concedevano la cittadinanza romana ai popoli conquistati, assumendone in parte gli usi e le regole; è soltanto la crisi interna del senato che porta al potere i ceti ristretti, in particolare l’esercito, diventando così un’economia di esclusione che deve difendersi.
- l’URSS, in cui la ristretta cerchia dei ceti politici ha sviluppato soltanto la tecnologia militare escludendo l’industria, e pertanto si è sciolta come neve al sole;
- l’impero Inca, conquistato da Pizarro semplicemente catturandone il sovrano: si tratta di un caso classico in cui l’economia di esclusione può essere definita anche economia estrattiva, perché estrae dal popolo tutte le risorse e le concentra nel ceto al potere.
- Gli USA hanno storia simile a quella dell’impero romano: la politica inclusiva del New Deal di Roosevelt ha prodotto 30 anni di benessere distribuito e inclusivo, mentre oggi l’economia statunitense, pur libera e imprenditoriale, si concentra in poteri troppo forti rispetto alla popolazione; la concentrazione, iniziata negli anni 70 del secolo scorso, è esplosa nel 1999 quando il governo Clinton ha abrogato la legge che vietava l’unione tra banche di investimento e banche d’affari.
- In Italia il ceto politico estrae dalla popolazione una quota esagerata di Pil, (il 32% va alle rendite finanziarie) restituendo servizi inadeguati; soprattutto nel sud c’è una grave situazione di esclusione. I più colpiti sono i giovani: ad es., lo scorso anno le iscrizioni delle matricole all’università sono calate del 6% a livello nazionale, del 14% al sud e addirittura del 40% in Calabria.
Soffriamo di pensiero unico, prosegue Vitale, il neoliberismo è inadeguato ad affrontare i problemi della società di oggi. Quella che viviamo non è una crisi, ma un progetto: sostituire la democrazia con il mercato, in particolare quello finanziario, gestito da poteri ristretti ed estrattivi. Il pensiero unico ci ha portato agli avvenimenti del 2008, e se il sistema non è crollato completamente è solo perché le banche sono state salvate dai governi con i soldi dei contribuenti.
Ci sono purtroppo nazioni, e l’Italia tra queste, che stanno seguendo gli USA senza adattare il pensiero unico alla propria realtà – e ciò rappresenta un pericolo democratico molto forte, in quanto si corre il rischio di essere governati da poteri tecnico-finanziari.
La finanziarizzazione del mondo ha elevato il denaro ad idolo: e questa riflessione ci riporta agli altri NO citati all’inizio: No alla nuova idolatria del denaro, No a un denaro che governa invece di servire (e qui Vitale cita le lobby statunitensi che attraverso il denaro condizionano il governo), NO all’iniquità che genera violenza, portando sfiducia che è già una prima forma di violenza.
Al termine dell’incontro, Vitale sollecita una presa di posizione citando le parole di Dostoevskij, secondo il quale “siamo responsabili di tutto davanti a tutti”, e di Quoist che nella poesia “L’umanità ha bisogno di te” afferma:
“se la nota dicesse: ‘Non è una nota che fa una musica …’Non ci sarebbero le sinfonie!”