Sabato 2 dicembre Marco Bentivogli, Segretario Generale Nazionale di Fim-Cisl, ha chiuso l’edizione di quest’anno degli Incontri di Pensiero, parlandoci de “Il lavoro che cambia, cambiamo il lavoro”: per il ciclo Connessi o Isolati, proponiamo di seguito la conversazione con Marco Toresini, caporedattore del Corriere della Sera.
Ci spiega la ricerca da lei svolta per governare il cambiamento verso cui stiamo andando? Cosa vuol dire far nascere un ecosistema 4.0?
“Siamo alla vigilia della quarta rivoluzione industriale, cioè dove non si parla più di rapporto uomo-macchina ma di rapporti tra le macchine stesse, in cui accanto alla manifattura vi sono ruoli chiave come big data e interconnessione che possono cambiare radicalmente la produzione e l’ambiente circostante alla fabbrica: un’azienda intelligente è tale solo in quanto inserita in un ecosistema “intelligente”, dove mobilità, distribuzione di risorse, pubblica amministrazione e rappresentanza sindacale sono gestite in modo virtuoso.
Sarà l’ultima possibilità di riportare al centro la manifattura, con la speranza di andare verso una maggiore umanizzazione del lavoro e un migliore utilizzo delle risorse naturali. Può essere una vera rivoluzione di senso, soprattutto per l’attendismo tecnofobo presente in Italia, se utilizzata per puntare ad un’umanizzazione del lavoro, dove cioè mansioni ripetitive e alienanti vengono lasciate alle macchine, mentre l’uomo può contribuire a fasi delicate quali gestione e progettazione.”
Cosa devono fare dunque i lavoratori per essere protagonisti di questa imminente rivoluzione?
“Il lavoratore va accompagnato a non avere paura, dandogli soprattutto il diritto soggettivo alla formazione; è importante partire dai bisogni d’impresa e del lavoratore, e su quello costruire i corsi di aggiornamento necessari. Il diritto alla formazione è il diritto al futuro! Dobbiamo operare un processo di riqualificazione del lavoratore, mantenendolo al centro degli investimenti; è importante distruggere il paradosso italiano secondo cui i giovani smettono prima di studiare, ma iniziano più tardi a lavorare, terminando così anzitempo il rapporto con la formazione.
Dobbiamo immaginare le innovazioni tecnologiche come grande alleato per una gestione diversa e migliore di tempo e spazio di lavoro: bisogna recuperare e investire molto sulla fase progettuale, in quanto la tecnologia porta con sé i valori di chi la progetta. Bisogna abituare i lavoratori alla partecipazione attiva, anche attraverso uno sfoltimento del mondo sindacale.”
Quali sono i rischi e le potenziali vittime di questo cambiamento?
L’industria italiana è spaccata in 3: una parte di industria che innova, esporta e forma le persone, una parte in cui strutture vecchie e lavoratori demotivati non sono supportati dalla tecnologia, e chi sta nel mezzo. Sicuramente ci saranno professioni che scompaiono, ma solo perché la realtà è in continuo mutamento.
L’Italia ha perso occupazione per assenza di investimenti in tecnologia, per cui rischi di esclusione sociale ci sono e saranno forti. Come anche Papa Francesco dice nella Laudato sì:”Il lavoro è tutto ciò che trasforma l’esistente, il lavoro si trasformerà”.
Quanto contano le singole persone per superare le difficoltà portate da questo processo di cambiamento?
“Contano tantissimo! Come persone dobbiamo affrontare il cambiamento come una sfida e viverlo in maniera positiva per cercare il nostro “scambio contributivo-sostenibile”, concetto espresso da Mauro Magatti. Sarà fondamentale progettare questo cambiamento: avere cioè idea di finalità di impresa e condizione umana, rigenerare la fabbrica e il territorio circostante. Dal punto di vista politico bisogna avere la capacità di pensare in tempi lunghi, senza limitarsi a quello che è il proprio mandato, consegnando ogni volta il testimone al successore, così come in una corsa verso il miglioramento della condizione umana. Questa è la difficoltà maggiore: per essere efficaci bisogna tener conto della prospettiva di progettazione.”
In questo cambiamento, quali sono i diritti inalienabili del lavoratore, e quanto contano all’interno di questo contesto?
“I diritti sono assolutamente da salvaguardare, e credo che in termini di strategia e priorità stiamo già facendo un grande lavoro: ad esempio nel contratto dei metalmeccanici, abbiamo ottenuto il diritto soggettivo alla formazione e il welfare integrativo sanitario. In qualunque tipo di contratto, anche precario, la formazione deve essere un contenuto imprescindibile”.
Continua Marco Bentivogli: “Investire sulla formazione significa avere salari più alti, qualità di lavoro migliore e maggiore stabilità. Anche sugli orari dobbiamo avere una visione creativa, dove tra lavoro e riposo ci possa essere del tempo pensato e dedicato a se stessi. Se vogliamo parlare di diritti dobbiamo avere la possibilità di costruire idee di lavoro completamente nuove e il coraggio di ridefinire le priorità rispetto al passato.”
Saremo connessi o isolati da questo cambiamento? Faremo parte delle nuove solitudini o raggiungeremo conquiste collettive?
“Dipenderà tutto da noi, dalla nostra capacità di essere meno isolati; le iper-connessioni tecnologiche ci isolano di più, ma questa colpa non è attribuibile alle nuove tecnologie. Sta a noi, rispetto a esse, lavorare verso una prospettiva o un’altra. Pensando ai social network, sono una grande possibilità di trasmissione di valori umani migliori e di contagio del mondo attraverso notizie reali e positive. Pubblicizziamo le imprese che fanno bene e rendiamo meno contagioso ciò che è negativo: il bello di questo paese è che le buone notizie sono fortemente generative, perché scatenano fattori positivi quali energie, valori, impegno e passione popolare”.