Anno di grazia 2024, mese di ottobre, Antica Cascina San Zago.
I commensali, sapientemente distribuiti ai tavoli grazie ad una collaudata organizzazione, hanno gustato antipasti e primi piatti e sono in attesa del piatto forte (maialino da latte con patate arrosto) mentre nella sala serpeggia amabile il cicaleccio.
All’improvviso, una voce richiama l’attenzione verso lo schermo posizionato sul lato corto della sala: Elena e Piero, i promotori del dono della cooperativa Il Calabrone, proiettano immagini e cifre, raccontano lo stato di avanzamento dei lavori nell’immobile della Comunità Terapeutica. Dati, cifre, tempistiche…
Ma siccome questa è l’annuale cena di solidarietà del Calabrone, e non il consiglio di amministrazione di una grande holding, Piero Zanelli – il past president, che da 35 anni fa parte della Cooperativa – cambia registro e sollecita i presenti con una serie di riflessioni e di domande.
“Il Calabrone è nato da un’intuizione che ha letto la realtà del tempo e ha deciso di stare accanto a chi fa fatica. Adesso che stiamo ristrutturando gli ambienti della comunità, scelta importante e impegnativa dal punto di vista economico e organizzativo, lasciamoci interrogare dal senso del nostro fare di oggi.
Abbiamo mostrato i numeri, adesso chiediamoci se è ancora valida ed efficace la proposta di un percorso in comunità riabilitativa, a fronte delle nuove tipologie di dipendenza; verifichiamo se è rimasta uguale la nostra capacità di accogliere, riflettiamo sul senso del nostro agire.
Per proseguire in un cammino c’è bisogno di ritrovare una direzione che sia efficace, che sostenga l’impegno, che motivi il proseguire, che abbia e offra un senso.
Le persone che incontriamo vogliamo “aggiustarle” o vogliamo proseguire ad essere accanto, in modi diversi, portando avanti l’intuizione iniziale?
Il lavoro con chi è dipendente fa fare i conti, innanzitutto, con la dimensione dell’impotenza e del limite: non posso pretendere di aver capito quale sia la soluzione migliore per “l’altro”, anche se sarebbe appagante per il nostro bisogno di “sentirci a posto”, ma devo cercare insieme all’altro la sua possibile visione e idea di cambiamento.
Partire dal riconoscere il proprio limite potrebbe diventare occasione per riconoscere che ciascuno di noi è plasmato da bisogni, materiali e fisici, non ultima la possibilità di essere sé stessi, di accompagnare e accompagnarci nel cammino di altri, continuando ad avere una sensibilità aperta e inquieta, per recuperare energie di accoglienza e rispetto, comprensione e delicatezza.”
Domande e riflessioni scomode, dite?
Il copione della tradizionale cena di solidarietà che dal 2016 si svolge nella suggestiva cornice del lago di Garda non prevede una chiamata di responsabilità così forte? Ma questo, dicevamo, è il Calabrone: quando credi di aver raggiunto un approdo tranquillo dove percorrere sentieri conosciuti, è il momento di voltarci “dove la realtà sollecita lo sguardo, e quindi l’azione” come diceva il nostro don Piero.