Hanno steso le reti sull’erba, sotto le piante. Hanno impugnato i rastrellini di plastica colorata, così simili a quelli che i bambini usano al mare, e si sono avvicinati agli ulivi. Per ogni albero, uno vicino all’altro, si schierano 3-4 persone che lavorano e stanno attente a non calpestare le olive cadute sulle reti.
A loro, che sono inesperti, hanno affidato piante basse, ancora giovani, da trattare con cura e delicatezza, per non rovinarle e per aiutare la loro crescita: “da accarezzare” ha raccomandato il responsabile dell’uliveto.
“Penso che questo rappresenti un messaggio ricco di significato anche per i nostri ospiti” – riflette l’educatrice Martina.
L’uliveto è a Reggello, vicino a Firenze; è un grande podere con centinaia di ulivi, immerso in un paesaggio magnifico dove per una settimana, da domenica 3 novembre a venerdì 8 novembre, i 18 utenti e i 6 operatori della Comunità Terapeutica, insieme a una volontaria, hanno lavorato fianco a fianco in un costante lavoro di squadra, raccogliendo ben 15 quintali di olive.
Michele, ospite della comunità, racconta come ha vissuto la raccolta delle olive
“Abbiamo raccolto le olive mattina e pomeriggio. Sono stato tanto contento per due motivi: uno, che arrivando da una famiglia di contadini mi sono venute in mente immagini dei mie nonni, ricordi belli e colorati; e due, lo spirito collaborativo che ho respirato nei campi.
A pranzo e cena cucinavamo noi, nel monastero dove abbiamo alloggiato ho sentito tanto l’amore per la vita che non sentivo da tempo. Le persone che ci hanno ospitato erano disponibili e tanto carine, ho appreso una piccola parte di cultura sull’olio (dico piccola perché mi sono reso conto che non sapevo proprio nulla sull’argomento)”.
Una sera è arrivato a cena il proprietario dei terreni con tutta la famiglia e un agronomo che ha fatto fare a tutti una degustazione di due tipologie di olio, spiegando e facendo conoscere passo per passo il processo di produzione e assaggio, per imparare a riconoscere e apprezzare il prodotto.
Michele precisa con orgoglio:
“Abbiamo cucinato un risotto presentato con cura, e sfida delle sfide ho deciso di preparare una torta di mele a mano senza fruste elettriche, lavoro lungo ma gratificante. Con il mio amico D. c’è stata una bella sintonia dato che cucinare ci fa sentire liberi; la serata è andata alla grande, tante risate e ho respirato tanta gioia” e Martina conferma che “è stato molto bello vedere l’emozione e la soddisfazione nei loro occhi”.
E pensare che la proposta era nata quasi per caso, l’amico di un educatore l’aveva lanciata ma concretizzarla non sembrava facile, bisognava trovare qualche sostituto per i lavori svolti dalla Comunità (ad esempio la consegna dei pasti e il trasporto delle persone disabili) e soprattutto ottenere i permessi del Magistrato di Sorveglianza per gli utenti che sono in affidamento in prova ai Servizi Sociali: un lavoro di riorganizzazione e di sollecitazioni che ha tenuto col fiato sospeso fino all’ultimo minuto, ma che si è risolto nel migliore dei modi.
Anche per alcuni ospiti non si è trattato di una decisione facile: “era un sacco che non viaggiavo” ricorda Michele “preparare la borsa con i vestiti mi ha ricordato cose belle, come quando si andava in vacanza con gli amici, ma anche quando sono finito in strada con una borsa e pochi stracci”.
Il punto di vista degli operatori della comunità
Per gli operatori “questa esperienza è stata tanto bella quanto importante, sia da un punto di vista professionale sia personale. Da un punto di vista professionale ha permesso a noi educatori di vivere 24 ore su 24 a contatto con i nostri ospiti, osservandoli in un contesto differente e conoscendoli sotto diversi aspetti, anche nuovi. È stata quasi una scoperta e una riscoperta di caratteristiche, atteggiamenti e comportamenti che hanno permesso di portarci a nuove riflessioni e strumenti che sono importanti per il nostro lavoro.
Da un punto di vista personale invece, la sensazione condivisa da tutta l’equipe è quella di grande arricchimento umano e, perché no, anche di divertimento, che ha contribuito ad un bel clima sereno che si è creato tra tutti, operatori e ospiti. È stata l’occasione di far vivere ai nostri ospiti un’esperienza sana con relazioni sane, far vedere e sperimentare in prima persona la possibilità di vivere una vita senza l’uso di sostanze, apprezzando la bellezza delle cose e intrecciando storie ed emozioni”.
Gli utenti hanno colto perfettamente il clima: “ci sentiamo sullo stesso piano con voi”; “è bello fare anche lavori pratici accanto a voi”; “vi vedo in modo più umano”; “ho osservato anche il modo di relazionarvi tra di voi, partite sempre da voi stessi e parlate delle vostre emozioni”; “sento tante emozioni qui, era da un po’ che non ne provavo così forti”.
Al rientro si è tornati alla solita routine della vita in Comunità, però con una leggerezza diversa: sarà stata l’atmosfera conviviale, la fatica condivisa, la magia del luogo, la serenità del monastero – ma questa settimana di lavoro “fuori sede” è rimasta nel cuore degli utenti e degli operatori che hanno partecipato.
La parola finale la lasciamo a Michele:
“Un aspetto che mi porto nel cuore è il rapporto creato con gli educatori. Durante questa settimana li ho vissuti come amici, non solo come guide. È un’esperienza che difficilmente dimenticherò. Chiudo dicendo che questo viaggio mi ha ricordato per cosa sto lottando: l’amore per la vita”.