Hanno steso le reti sull’erba, sotto le piante. Hanno impugnato i rastrellini di plastica colorata, così simili a quelli che i bambini usano al mare, e si sono avvicinati agli ulivi. Per ogni albero, uno vicino all’altro, si schierano 3-4 persone che lavorano e stanno attente a non calpestare le olive cadute sulle reti.
A loro, che sono inesperti, hanno affidato piante basse, ancora giovani, da trattare con cura e delicatezza, per non rovinarle e per aiutare la loro crescita: “da accarezzare” ha raccomandato il responsabile dell’uliveto.
“Penso che questo rappresenti un messaggio ricco di significato anche per i nostri ospiti” – riflette l’educatrice Martina.
L’uliveto è a Reggello, vicino a Firenze; è un grande podere con centinaia di ulivi, immerso in un paesaggio magnifico dove per una settimana, da domenica 3 novembre a venerdì 8 novembre, i 18 utenti e i 6 operatori della Comunità Terapeutica, insieme a una volontaria, hanno lavorato fianco a fianco in un costante lavoro di squadra, raccogliendo ben 15 quintali di olive.
Il punto di vista degli operatori della comunità
Per gli operatori “questa esperienza è stata tanto bella quanto importante, sia da un punto di vista professionale sia personale. Da un punto di vista professionale ha permesso a noi educatori di vivere 24 ore su 24 a contatto con i nostri ospiti, osservandoli in un contesto differente e conoscendoli sotto diversi aspetti, anche nuovi. È stata quasi una scoperta e una riscoperta di caratteristiche, atteggiamenti e comportamenti che hanno permesso di portarci a nuove riflessioni e strumenti che sono importanti per il nostro lavoro.
Da un punto di vista personale invece, la sensazione condivisa da tutta l’equipe è quella di grande arricchimento umano e, perché no, anche di divertimento, che ha contribuito ad un bel clima sereno che si è creato tra tutti, operatori e ospiti. È stata l’occasione di far vivere ai nostri ospiti un’esperienza sana con relazioni sane, far vedere e sperimentare in prima persona la possibilità di vivere una vita senza l’uso di sostanze, apprezzando la bellezza delle cose e intrecciando storie ed emozioni”.
Gli utenti hanno colto perfettamente il clima: “ci sentiamo sullo stesso piano con voi”; “è bello fare anche lavori pratici accanto a voi”; “vi vedo in modo più umano”; “ho osservato anche il modo di relazionarvi tra di voi, partite sempre da voi stessi e parlate delle vostre emozioni”; “sento tante emozioni qui, era da un po’ che non ne provavo così forti”.
Al rientro si è tornati alla solita routine della vita in Comunità, però con una leggerezza diversa: sarà stata l’atmosfera conviviale, la fatica condivisa, la magia del luogo, la serenità del monastero – ma questa settimana di lavoro “fuori sede” è rimasta nel cuore degli utenti e degli operatori che hanno partecipato.
La parola finale la lasciamo a Michele:
“Un aspetto che mi porto nel cuore è il rapporto creato con gli educatori. Durante questa settimana li ho vissuti come amici, non solo come guide. È un’esperienza che difficilmente dimenticherò. Chiudo dicendo che questo viaggio mi ha ricordato per cosa sto lottando: l’amore per la vita”.