Una riflessione di don Piero che è apparsa anche sul Corriere della Sera-Brescia il 6 gennaio 2015.
Anno nuovo! Come se la vita delle persone fosse scandito dall’orologio o dal calendario.
Un detto indiano anonimo sapientemente dice: “la vita ha le sue fasi. C’è la fase dell’apprendere, la fase del trasmettere quello che si è appreso, la fase del bosco e la fase del mendicante.”
E’ un insieme di esperienze non scandite dall’età ma dagli eventi. Fa riflettere questo sapiente indiano. La vita è un processo continuo circolare: a qualsiasi età ci si può trovare in una di queste fasi.
La fase dell’apprendere: comprendere, assimilare linguaggi (anche quello tech), vedere il mondo, aprire la testa, la consapevolezza in che territorio viviamo, chi sono quelli che stanno accanto e quelli che si incrociano in una stazione ferroviaria; coltivare passioni, le curiosità del conoscere, la gestione del proprio corpo con le sue bellezze e i suoi limiti, ascoltare la forza dei desideri.
La fase del trasmettere ciò che si è appreso: richiama il valore dell’educare, del testimoniare, del rispetto delle persone, dell’esercizio della libertà e della responsabilità, la partecipazione a dare il proprio contributo per costruire una convivenza che dia importanza alla persona (comunque sia la sua condizione) e al bene comune. E’ l’espressione della adultità.
La fase del bosco: si entra “nel bosco” per riscoprire sé stessi così come si è, come si desidera essere.
Il silenzio, sospendere l’inquinamento acustico dentro quel territorio. Parlare del silenzio è negarlo, ma negarlo è necessario per capirlo.
C’è il silenzio della quiete; c’è lo stupore delle scelte fatte, delle cose realizzate, dei desideri appagati; c’è il godimento del vivere.
Il bosco – il silenzio – rappresenta le mille situazioni vissute; e si vedono in chiaro-scuro. C’è bisogno di intuizione.
C’è, nel bosco, lo spazio del silenzio imperativo, quello che si impone alle parole; passano in fotogramma mentale le parole vere, quelle inutili, quelle di convenienza, quelle ipocrite o sfuggenti, quelle criptate.
C’è il silenzio “abissale”, quello che mette paura. L’ignoto ci induce alla fuga dalla realtà.
C’è il silenzio sottile, discreto, accattivante; forse è in questo territorio che riusciamo a scoprire chi siamo, che senso ha la vita.
Il sapiente indiano non trascura la fase del mendicante.
Quando ci si trova dentro questo territorio della fragilità, del bisogno e ci si sente impotenti.
E i pensieri si susseguono e sono come quelle collinette di riporto che continuano a crescere. Ci si trova sopra e si vede via via più lontano: la vita diversa, come va l’umanità, come i “tempi” mutano, i propri ricordi, le scuse che non si possono più chiedere, i grazie detti o non detti, i volti di chi è partito, le carezze che hanno consolato, le parole e i silenzi che hanno dato respiro.
Ora il panorama cambia. Dall’altro lato c’è ancora un colle da valicare e non si sa come sarà.
E poi ci può essere qualcuno che si prende cura e quello scopre che il mendicante custodito fa dono ai suoi soccorritori della scoperta di essere umani più dentro il cuore.
E dolce sia la felicità, per oggi e per i tempi a venire.
don Piero