Senzatetto invisibili. Ma invisibili per chi?
Non lo sono certo per noi, che li conosciamo di persona, conosciamo le loro storie e li chiamiamo per nome, Daniel, Roberto, Ahmad, Mustafà, Diego, Hussef. Noi che li vediamo ogni sera rientrare al dormitorio Chizzolini stanchi, infreddoliti, con le mani che portano i segni della strada e i volti che mostrano gli anni che passano più rapidamente; a volte arrabbiati, altre rassegnati, ma sempre con uno sguardo sollevato, rinfrancati di essere finalmente tornati in un posto caldo, comodo e sicuro che per loro è “casa”.
C’è una varietà di storie e di vite che popola il dormitorio: ci sono ragazzi giovanissimi e uomini senza età, migranti che speravano in un futuro migliore in un altro paese e connazionali che hanno perso tutto per una malattia, un divorzio o un lutto, chi ha problemi con le dipendenze da alcool o sostanze o ancora chi lavora ma con contratti precari o stipendi troppo bassi per permettersi un alloggio.
Arrivano tutte le sere, puntuali, con le poche cose che gli appartengono in una borsa o uno zainetto, quel poco che per loro è tutto. Si mettono in fila per segnare la presenza per la notte, recuperano la carta igienica, il rasoio, il sapone e vanno nelle loro camere a lasciare i propri bagagli. Cambiano le lenzuola e le salviette, si preparano per la cena, fanno una doccia. Una piccola routine quotidiana recuperata che la vita di strada ti toglie con violenza.
Sembra insufficiente dare un letto, un pasto e un bagno a chi non ha nulla, a chi ha perso il lavoro, una casa, la famiglia, ma per chi si ritrova a vivere in strada il dormitorio è un’ancora di salvezza.
Qui trovano un’assistenza di base, ma soprattutto trovano delle persone che sono lì per prendersi cura di loro: educatori, operatori, volontari e i due custodi, Alberto e Ben, presenze fisse e costanti che fanno da punto di riferimento. Li accolgono tutte le sere con un sorriso quando entrano, scambiano qualche parola, gli chiedono come stanno e se hanno bisogno di qualcosa in più, gli ricordano di lavarsi, prendere la biancheria pulita o tagliarsi le unghie. Piccole premure per aiutarli a prendersi cura di sé.
Senzatetto, visibili.
C’è una parte della società che queste persone le vede distintamente, con le loro fatiche e sofferenze e che non è indifferente alla loro condizione di povertà. I dormitori sono un primo aggancio per molti che altrimenti sarebbero per strada senza alcun aiuto. Entrati qui hanno la possibilità di fare scelte diverse, essere indirizzati verso altri servizi. Soprattutto qui non sono soli, qualcuno li vede e se ne prende cura.
Noi proviamo a costruire insieme a loro una progettualità a breve termine su misura, che possa sostenerli nel qui ed ora.
Per qualcuno sono piccoli passi come ricominciare a lavarsi, cambiarsi i vestiti, radersi e tenere in ordine il proprio aspetto, ritornare a prendersi cura di sé. Alcuni, invece, provano a sperimentarsi in attività come il volontariato per recuperare una routine e la relazione sociale. È importante non vivere in modo passivo, da persone che vengono servite e “accudite” ma vivere le relazioni, condividere con loro momenti di quotidianità.
Ognuno ha le sue piccole grandi conquiste.
Alcuni ragazzi giovani stranieri hanno iniziato corsi di italiano per imparare la lingua, Youssef e Marco si sono iscritti ai corsi di formazione professionale per poter iniziare una nuova professione. Roberto ha deciso di intraprendere un percorso riabilitativo e di entrare in una comunità terapeutica per risolvere la dipendenza da alcool. Mario ha trovato un lavoro ed ha potuto fare domanda per avere una casa Aler. Omar è rinato dopo aver finalmente ottenuto dei documenti, ora può girare per la città con più leggerezza, nella legalità, non sente più quella paura di incontrare la polizia ed essere fermato, può cercarsi un lavoro ed essere assunto regolarmente, ma soprattutto riavere i documenti gli ha ridato un’identità e dignità, si sente nuovamente cittadino, con diritti e doveri.
Non è facile, alcune storie non sono a lieto fine. I dormitori sono un primo passo per provare a risolvere il problema della povertà ma da soli non sono sufficienti. Serve una politica inclusiva e una rete sempre più diffusa e capillare di servizi che lavori a stretto contatto e che sappia offrire occasioni di riscatto.
Ogni persona ha bisogno di spazi di confronto, di dialogo e riflessione, la differenza la fanno le relazioni e le persone. Per questo esserci è fondamentale: siamo un punto di incontro per chi non ha nulla e non conosce nessuno.