Abbiamo a lungo riflettuto su cosa vuol dire “fare rete” per noi della Cooperativa Calabrone. Molte sono le domande legate a questo tema che ci poniamo nel nostro lavoro quotidiano: come facciamo in modo che le reti che costruiamo siano durature, superino i tempi contingentati di un progetto, riescano ad incidere significativamente sul territorio?
Anticipiamo che non abbiamo risposte certe, ma alcuni dei progetti a cui abbiamo contribuito in questi ultimi anni ci hanno permesso di mettere in campo sperimentazioni promettenti.
Vorremmo partire da due di questi progetti per provare ad offrire alcune riflessioni più generali: DAD Differenti Approcci Didattici (finanziato da Impresa Con i Bambini e Fondazione Cariplo, con capofila Fondazione della Comunità Bresciana), esperienza nata durante la pandemia di Covid 19 per affrontare la dispersione scolastica e Tra Zenit e Nadir (finanziato da Impresa Con i Bambini, con capofila Istituto Don Calabria e partner CNCA), percorso di promozione della cultura riparativa.
Per alcuni versi questi due progetti sono molto diversi tra di loro: il primo riguarda l’ambito della formazione, mentre il secondo si rivolge ai minori autori di reato. Nonostante ciò, abbiamo rintracciato alcuni elementi comuni che ci interrogano sul nostro ruolo e su cosa significa “fare rete”.
Innanzitutto, sono entrambi progetti che riguardano i giovani, se pure da prospettive diverse.
In questi tempi in cui l’individualismo è culturalmente egemone si rischia di tornare a considerare il disagio giovanile come il frutto dei comportamenti devianti dei singoli, ma i ragazzi e le ragazze si nutrono in realtà di un contesto complesso che comprende i rapporti tra pari, quelli con gli adulti, con il territorio, con le istituzioni e quelli mediati dalla rete.
Intervenire dunque in questo contesto impone un approccio sistemico, dove gli accompagnamenti individualizzati si intrecciano con il confronto e la formazione rivolta a genitori, insegnanti, istituzioni per trovare nuovi modi di relazionarsi.
Un altro rischio, quando si affrontano tematiche legate ai giovani è quello di un paternalismo implicito e involontario.
Ecco che qui entriamo nel primo aspetto qualitativo del “fare rete”: i/le giovani non possono essere semplicemente utenti e fruitori di un servizio, se vogliamo che il nostro intervento duri e sia incisivo, allora devono essere partecipi e promotori della trasformazione. Dunque, il primo polo della rete non possono che essere loro, non come attori passivi del processo, ma come protagonisti.
Le testimonianze
Tra Zenit e Nadir
DAD - Differenti Approcci Didattici
DAD - Differenti Approcci Didattici