Beatrice Longhi ha vissuto all’interno dei contesti “Casa Bukra” e “Casa Baobab”, i progetti di volontariato e convivenza del Calabrone, dal 2017 al 2019.
Questa sua esperienza, unita ad una sensibilità personale, l’ha spinta ad incentrare la sua tesi di laurea in Scienze della Formazione Primaria sul tema dei minori stranieri non accompagnati, in particolare sull’accoglienza integrata e individualizzata, sull’identità e la definizione di sé, sulla formazione, l’alterità e la condivisione.
Ne riportiamo alcuni brani che ci consentono di vedere, attraverso i suoi occhi, le esperienze di Casa Baobab e Casa Bukra.
Se dovessi descrivere questi due anni, utilizzando una metafora, riporterei quella proposta dal sociologo A. Jabbar per descrivere i momenti di reciproca conoscenza all’interno del gruppo e di diffidenza iniziale.
“Due ricci sono in una tana e hanno freddo e, per riscaldarsi, decidono di avvicinarsi, ma si avvicinano troppo e si pungono. Solo dopo vari tentativi, riescono a distribuire bene gli spazi e a riscaldarsi senza farsi male”.
Casa Baobab: due anni trascorsi nella casa di legno
“Nessuno può abbracciare un baobab da solo”. (Proverbio senegalese)
Casa Baobab consente di vivere all’interno di due differenti gruppi di coinquilini: la durata prevista di partecipazione, infatti, è di due anni e l’inserimento di nuove persone avviene ad anni alterni. A titolo esplicativo, il mio ingresso è avvenuto nel 2017, congiuntamente ad un’altra partecipante al bando all’interno di un gruppo di tre persone, già presenti nella casa perché selezionate l’anno precedente.
Questo crea interessanti dinamismi interni e offre l’occasione di vivere relazioni diversificate: “un’esperienza nell’esperienza” per sperimentare le proprie abilità pro-sociali e diverse lenti interpretative, con le quali osservare ed essere osservati.
La cooperativa richiede solo un contributo economico simbolico e non un affitto, tramutato, in ottica di investimento e attivazione della popolazione giovanile, in alcuni “incarichi” da svolgere, tra i quali:
– la “realizzazione di attività a carattere socioculturale a favore della struttura, svolgendo azioni di buon vicinato per il contesto” ed organizzando eventi aggregativi, periodicamente, a favore di tutti gli ospiti presenti.
– la presenza notturna, articolata in turni settimanali, gestiti dal gruppo di volontari “Baobab” e attività di sostegno in casa Bukra
– la pulizia degli uffici, nel week-end.
In merito al primo punto, infatti, Casa Baobab interagisce con un contesto, in cui sono presenti diverse realtà: La Cooperativa La Rete, alcuni alloggi protetti, la comunità terapeutica di reinserimento e Zer0verde, centro specialistico per il trattamento dei disturbi da gioco d’azzardo. Questi sono solo alcuni dei servizi presenti, che ho riportato in quanto destinatari privilegiati degli eventi aggregativi proposti dal mio gruppo, durante il mio periodo di permanenza.
A proposito di sinergia territoriale, coltivare il valore del “buon vicinato” implica la conoscenza e il rispetto dei percorsi individuali delle persone incontrate: ho potuto esperirlo sia attraverso lo scambio relazionale informale, con i miei vicini, sia organizzando e partecipando ad eventi di aggregazione.
In merito a ciò, il 6 giugno 2019, in seguito alla proposta di uno dei miei coinquilini, abbiamo organizzato la festa di rottura del digiuno nel mese di Ramadan (īd al-fiṭr) per tutti gli ospiti presenti nella struttura, condividendo musica e piatti di differenti tradizioni culinarie.
Narro questo momento di socializzazione per evidenziare, in accordo con il pensiero di Granata, quanto sia significativo tentare di superare una “pedagogia couscous”: è stato un momento di festa condivisa ed ha permesso la messa a disposizione di competenze dei singoli, “senza evidenziare appartenenze etniche e culturali. Competenza, (infatti), è un tratto personale e on un patrimonio ricevuto obbligatoriamente dalla propria cultura”.
Accanto al “buon vicinato”, il progetto si muove lungo l’asse della relazione: due momenti significativi, dal punto di vista interculturale e relazionale, sono stati l’apertura della porta di Casa Baobab a Béatriz, una ragazza spagnola (residente in Germania) e giunta a Brescia per svolgere attività di volontariato, e a Nicolas, ragazzo francese di Angers, che ha vissuto con noi tre settimane, grazie ad uno stage Erasmus organizzato da Mistral Onlus. Sono state esperienze di condivisione di stili di vita, modelli di pensiero e intrecci di cammini condivisi, che mi hanno consentito di valorizzare nuove risorse personali e hanno arricchito il mio percorso.
A questo proposito, uno dei valori promossi dal progetto di Casa Baobab è proprio la condivisione: il contesto di Casa Bukra ha ricoperto un ruolo importante perché la richiesta di partecipazione, nei nostri confronti, si è sviluppata naturalmente, in seguito ad un primo momento di conoscenza, andando ben oltre le attività di vigilanza notturna o il supporto nello svolgimento dei compiti a casa.
Il primo approccio al gruppo di minori è stato cauto: bussare alla porta e procedere a piccoli passi permette di rispettare non solo gli spazi fisici, ma anche narrativi. Non è facile spiegare quanto avvicinarmi a loro, dopo cena, in maniera spontanea, abbia influito sulla mia scoperta interiore, permettendomi di “sostare” all’interno di una dimensione relazionale autentica, legittimando la possibilità di intessere reali rapporti di fiducia e amicizia.
Abbiamo vissuto esperienze a carattere ludico (uscite sul territorio naturalistico) e educativo, informale o più strutturato. Abbiamo visitato insieme alcuni musei cittadini (il museo di S. Giulia, la Pinacoteca, il Castello), alla scoperta delle bellezze del patrimonio artistico e naturale (tra i quali: il lago di Endine, il lago di Iseo e alcune sponde del lago di Garda), scegliendo anche di trascorrere insieme alcune festività e viverne i preparativi.
A proposito dei momenti formativi rivolti al gruppo Casa Bukra, in veste di peer educators, abbiamo proposto un percorso parallelo a quanto già stessimo svolgendo all’interno del nostro gruppo di coinquilini, supportati dalla nostra figura educativa di riferimento.
La volontà di condivisione di alcuni valori, verso i quali tutti potessimo afferire, è stata un fattore motivante: considerarli parte del nostro “bagaglio” ha consentito di riflettere in modo attivo sulle condizioni che veicolano uno stato di benessere, in entrambe le case. L’ascolto, l’amicizia il rispetto e la conoscenza hanno così guidato i nostri cinque incontri, nei quali si sono alternati momenti ludici e di condivisione, utilizzando soprattutto modalità di narrazione autobiografica: ci siamo riservati uno spazio in cui raccontarci reciprocamente e provare ad affiancare i nostri passi.
Casa Bukra: il rapporto si fa più stretto
I miei ultimi tre mesi di progetto sono stati caratterizzati da una convivenza ancora più stretta, che ha assunto una nuova forma e ha delineato una nuova struttura del progetto Casa Baobab. In seguito all’accorpamento dei due servizi, da luglio a settembre 2019, ho vissuto con i tre coinquilini universitari e con i due minori stranieri non accompagnati.
Mentirei, qualora affermassi di essermi adattata immediatamente al mutamento dei contorni e alla nuova condivisione di spazi. Tuttavia, ciò mi ha consentito di esperire “qualcosa di simile all’esperienza dell’altrove: avvicinarsi all’altro e […] al suo modo di stare è un’esperienza conoscitiva; si scopre qualcosa in più sulla gioia, attraverso la gioia dell’altro, qualcosa in più sul dolore attraverso il dolore dell’altro, che non è il proprio e che, in quella esperienza, assume un tratto diverso e unico”.
Non solo un’esperienza di empatia: mi è stata offerta la possibilità di convivere con persone che si confrontano quotidianamente con i propri limiti, si riadattano quotidianamente e sono resilienti.
Se dovessi descrivere questi due anni, utilizzando due metafore, riporterei, innanzi- tutto, quella proposta dal sociologo A. Jabbar per descrivere i momenti di reciproca conoscenza all’interno del gruppo e di diffidenza iniziale.
“Due ricci sono in una tana e hanno freddo e, per riscaldarsi, decidono di avvicinarsi, ma si avvicinano troppo e si pungono. Solo dopo vari tentativi, riescono a distribuire bene gli spazi e a riscaldarsi senza farsi male”. Esprime il tentativo di definire il proprio spazio, cercando, al tempo stesso, di sperimentare l’apertura della propria zona di confort e di strutturarsi a livello personale: questo è quanto, per sommi capi, abbia caratterizzato il mio primo periodo nella casa.
All’interno di un contesto supportivo e non giudicante, ho potuto svolgere un esercizio di attribuzione di significati e costruzioni differenti dall’eleganza del riccio, che mi accomunava a Madame Michel: “protetta da aculei, una vera e propria fortezza”. Appoggiare una maschera di “gesti taciuti” è stato l’elemento chiave per intraprendere un percorso volto al superamento di un’idea di quieto vivere, che mi racchiudeva all’interno di una corazza.
Atreverse è uno dei verbi che più mi ha motivata e supportata nel momento di “distacco” dal progetto. Quotidianamente, mi ricorda la scelta di osare e il coraggio necessario per farlo, nonostante questo possa comportare rischi o conduca ad esiti imprevedibili aprioristicamente.
Cerco, così, di continuare il percorso intrapreso, accompagnata dall’immagine di un Baobab, che non è possibile abbracciare se non attraverso l’azione congiunta di altre persone: un albero che cresce, nelle cui radici un pezzettino del mio cuore è rimasto inevitabilmente incastrato.