Invece, per scoprirne qualcosa che vada oltre gli stereotipi, abbiamo effettuato una ricerca, in collaborazione con il Comune di Brescia e con l’Università Cattolica, perché il nostro lavoro con gli adolescenti si basa su solide basi scientifiche: al Calabrone, lo sapete, non si improvvisano le strategie educative.
Rispetto a precedenti ricerche, questa volta non abbiamo focalizzato l’attenzione su un singolo aspetto (il consumo di sostanze, il gioco d’azzardo ecc.), perché abbiamo la sensazione che stia cambiando l’intero scenario, la società nel suo insieme: educare è sempre più una questione culturale, oggi è necessario ricostruire significati.
La nostra è una scelta di campo: diamo fiducia ai giovani, e li accompagniamo nel difficile percorso di crescita, convinti che in tal modo rendiamo migliore la comunità che abitiamo; il nostro intervento sarà efficace se riusciamo a capire come sta cambiando l’adolescenza.
Abbiamo individuato e analizzato tre nodi problematici che rischiano di compromettere, in maniera più o meno significativa, il percorso di crescita dei giovani: il futuro, l’identità, il corpo.[/vc_column_text]
Da sempre la scoperta di sé e del mondo è un viaggio incerto: finora è stato anche epico, gli adolescenti partivano per odissee mitologiche come cavalieri erranti – a cui gli adulti consentivano di essere erranti/vaganti ma anche erranti/sbaglianti. Una possibilità che oggi non è per nulla scontata.
Stiamo escludendo dalla narrazione l’idea del tempo che scorre: questioni come la morte o la vecchia non vengono affrontate, e definiamo tutti giovani. E questo ha portato ad una marginalizzazione del ruolo dei veri giovani nella società, tanto che oggi qualcuno parla apertamente di un “vero e proprio giovanicidio economico, sociale e simbolico” (Feixa).
È una posizione estremizzata ma che merita d’essere approfondita: tra i vari aspetti di questo giovanicidio ci preme sottolineare la negazione dell’idea stessa di gioventù: se il giovane è chi vive in una terra di mezzo tra il bambino che è stato e l’adulto che sarà, non riconoscere lo scorrere del tempo lo condanna nel limbo in cui non diventerà mai adulto.
Invece, il futuro è centrale nella pratica educativa: è compito degli adulti superare l’idea di futuro che avevano immaginato e tornare a occuparsi del futuro come prodotto culturale, mettendo al centro futuri desiderabili: educare al possibile, alle aspirazioni, non limitarsi al probabile (l’aspirazione include uno sguardo su un mondo trasformabile), costruire una prospettiva divergente, far spazio all’inedito, alimentare il desiderio di futuro.
Il desiderio muove energie profonde, proprio perché trae nutrimento non dall’appagamento ma dall’attesa: ricordiamo che il termine deriva da “de sidere”, sotto le stelle, ed era riferito ai soldati romani che attendevano con desiderio il ritorno dei compagni dal campo di battaglia.[/vc_column_text]
Quello che stiamo osservando è una crescente pressione sul corpo degli adolescenti, un corpo che sempre più spesso reagisce esprimendo tutto il suo malessere. La sensazione è che troppo si stia giocando sulla pelle degli adolescenti.
Oggi, la proiezione virtuale del corpo resa possibile dalle tecnologie digitali modifica la percezione della limitatezza delle potenzialità: il corpo virtuale non è più soggetto alla sofferenza, è un corpo che può “vivere senza confini” e per cui “non c’è nulla di impossibile”.
La traduzione di tutto questo nella crescita quotidiana non è semplice da metabolizzare: riscontriamo tra i giovani una crescente insoddisfazione verso il proprio corpo e un malessere somatico sempre più diffuso, che sfocia talvolta negli attacchi al proprio corpo: tagli, bruciature, una relazione disfunzionale con il cibo, forme di abuso di sostanze… sono spesso atti estremi per rimettere in connessione quanto avviene all’interno del corpo con il mondo esterno, un modo non consapevole per chiedere aiuto.
“Una nave in un porto è al sicuro, ma non è per questo che è fatta una nave”. Come adulti dobbiamo tornare ad essere i fari che aiutano – dalla costa – la navigazione e fare in modo che queste navi, che tanto ci stanno a cuore, possano lasciare quei porti dove, forse, se li teniamo perennemente ancorati non sono poi così al sicuro!
“Se i tempi non richiedono la tua parte migliore, inventa altri tempi”, scrive Stefano Benni: questo è l’obiettivo che ci poniamo e l’invito che facciamo ai giovani con cui lavoriamo, perché la vera scommessa è che ciascuno di noi possa mettere in gioco sempre il meglio di sé.[/vc_column_text]
Per raccontarlo abbiamo scelto l’immagine degli eroi fragili: esplorano l’ignoto con il coraggio degli eroi e la fragilità dei momenti di passaggio, snodi cruciali che aprono all’inedito ma al contempo generano forti stress.
Quello che stiamo osservando è un cambiamento di paradigma: la costruzione della propria identità deve oggi avvenire in un contesto sempre più individualista, contrassegnata dalla solitudine, da un investimento eccessivo su sé stessi che talvolta si proietta anche sugli altri. Pensiamo ad esempio a quanto l’immagine sia centrale nelle nostre rappresentazioni (la cura del corpo, la bulimia da selfie e il continuo ricorso a filtri o interventi che migliorino la nostra immagine…)
Ancor più che nel passato, tra gli adolescenti oggi l’affermazione di sé passa dallo sguardo dell’altro (o dalla percezione di quello che potrebbe essere lo sguardo dell’altro); vergogna, malessere psicologico e soprattutto ansia sono aspetti che stiamo osservando con crescente preoccupazione e riguardano un numero sempre maggiore di adolescenti.
In particolare, ci preme porre l’accento sull’ansia, che è definibile come un “angosciante stato di attesa che si traduce in comportamenti evitati”: non permette una visione di sé sufficientemente positiva, sicura e capace nel pensarsi nel futuro.[/vc_column_text]