C’è una frase, riferita nientemeno che a Voltaire, relativamente ai libri. Eccola: “ I libri più utili sono quelli che portano i lettori a sviluppare i pensieri di cui si mostra loro il germe”. Sono anch’io dello stesso parere e non posso non ringraziare l’autore del libro che riguarda don Piero, il giornalista Enrico Mirani, perché la sua fatica non è stata per me solo un germe, ma una grande occasione, un vero favore per riordinare pensieri e ricordi.
Una confidenza … Quando manca una sola manciata di mesi per compiere 80 anni, si è portati a guardarsi indietro più che a pensare ai pochi anni che ormai ti può offrire il Signore. E capita di gioire per le tante persone incontrate e che sono entrate a far parte della tua vita. Alcune sono state belle persone, direi sante persone. Sante, non perché saranno messe dalla Chiesa sugli altari, ma perché considerate “sante della porta accanto”, come hanno sottolineato l’anno scorso il Papa (nella sua esortazion apostolica “Gaudete et exultate” e il nostro Vescovo (nella lettera pastorale alla diocesi: “Il Bello del vivere”).
Don Piero, per me e sono certo per tutti voi, appartiene ai santi della porta accanto. Porta la sua, sempre aperta, porta accogliente, ospitale, per chiunque!
Di lui, è scritto nel libro che abitava la marginalità. Lui che, come ebbe a scrivere Papa Francesco, “sapeva servire i deboli e non servirsi dei deboli, sapeva difendere i poveri e non difendersi dai poveri”. Lui prete che ho sentito amico, senza nessun merito da parte mia, che ho sentito specialmente compagno di viaggio. Lui che non faceva uso del suo sacerdozio perché metteva prima il suo essere battezzato al suo essere prete, nello stile di S. Agostino, nord africano, che 16 secoli fa diceva alla sua gente: “Per voi sono vescovo, ma con voi sono cristiano”. Nello stile di altri preti che ho conosciuto: uno per tutti padre Marcolini.
Fatto prigioniero con i suoi soldati non utilizzò il suo essere cappellano, ufficiale dell’esercito italiano. Per rimanere tra i suoi alpini, di fronte al comandante del campo, si degradò strappandosi dalla divisa le mostrine.
Don Piero prete accogliente, ospitale. Prete pastore che sentiva l’odore delle pecore come ancora ebbe a dire papa Francesco. Più che vicino al suo gregge, si immedesimava col suo gregge.
Ecco allora la sua esperienza di prete operaio, ecco il Calabrone, l’attenzione alle famiglie dei suoi ragazzi e collaboratori, l’attenzione alle coppie di sposati come consigliere spirituale dell’Équipes Notre Dame, i “Gruppi di Nostra Signora”, di Maria, movimento francese laicale di spiritualità coniugale.
Don Piero, prete accogliente, prete pastore, prete Calabrone non appena del Calabrone! E mi spiego. Il Calabrone, secondo gli scienziati, vola, ma non potrebbe perché il peso del suo corpo è sproporzionato rispetto alle ali. Questo per dire che con quel poco che si è e che si ha si possono ottenere risultati impensabili:
- Il don Piero amantissimo della musica, addirittura maestro e direttore di coro nonostante una voce non felice;
- Don Piero senza eccelse dote oratorie, eppure le sue omelie ti toccavano dentro, mente e cuore, e ti convincevano.
- La sua vocazione, fin da ragazzo (lo disse in un’intervista) aveva un sottofondo monacale eppure che capacità realizzativa!
- Non era un biblista eppure ti innamorava della Parola di Dio.
E don Piero educatore? Mons. Beschi nell’introduzione del volume, parla di incisività educativa! Il suo stile, più che dare risposte, faceva nascere domande. Era lo stile di Gesù che amava interrogare. “Amava” ho detto! Non per nulla nel greco classico, studiato in seminario, la parola “domanda” corrisponde a “eròtesis”, parola che ha a che fare con “eros”, l’amore. L’amore di don Piero che spinge a pensare e l’amore di chi tenta di rispondere.
Per ultimo, don Piero prete di frontiera ma sempre dentro la Chiesa, di un raro amore alla Chiesa. Quello che fa, lo fa con e per la Chiesa! Mette sempre al corrente il Vescovo delle sue scelte: entra in fabbrica con il suo consenso. E il dialogo con il vescovo rimane sempre aperto!
Trovate, salvo qualche battuta, tutto nel libro. Anche la chicca che vi leggo da pagina 112:
“L’astuccio del pronto soccorso.
Un paio di occhiali, un elastico, un cerotto, una matita, un filo, una gomma per cancellare, un bacio al cioccolato, una bustina di tè. Semplici oggetti quotidiani da tenere in borsa: un astuccio di pronto soccorso da condividere con gli amici, come ausilio per la vita proposto da don Piero. Gli occhiali sono per vedere e apprezzare le qualità delle persone che ci circondano. L’elastico per ricordarsi di essere flessibili quando la gente o le cose non sono come vorremmo. Il cerotto serve a guarire i sentimenti feriti, i nostri come quelli degli altri. La matita ci permette di scrivere il bene che ci capita ogni giorno, anche se spesso non lo vediamo. La gomma ci ricorda che tutti commettiamo errori e abbiamo l’occasione per cancellarli. Il filo lega le persone realmente importanti nella vita di ciascuno, affinché non vengano dimenticate. Il bacio al cioccolato esprime il bisogno di tenerezza di ognuno: la carezza e la parola gentile rendono l’esistenza quotidiana più dolce. Infine la bustina di tè per il termine della giornata,quando è l’ora di riposare, rilassarsi, riflettere, tirare le somme. Tutto ciò senza mai dimenticare che per la gente possiamo essere soltanto genericamente qualcuno, ma per qualcun altro siamo il mondo”.[/vc_column_text]